«La situazione del settore suinicolo è molto preoccupante - ha dichiarato il presidente di Assica, Nicola Levoni - : senza adeguamenti dei prezzi finali è a rischio la nostra filiera».
Per farsi un’idea delle dimensioni di questo episodio catastrofico basti pensare che il totale antecedente di capi in Cina era intorno a 440 Milioni , che a seguito dell’epidemia si è ridotto in pochi mesi del 20% a causa degli inevitabili abbattimenti per arginare la diffusione.
Le difficoltà riscontrate dal mercato cinese si sono tradotte in un disastroso aumento della domanda, e conseguentemente dell’acquisto di suini, che ha scatenato nel resto del mondo un ingente rincaro dei prezzi della materia prima. Ad essere più a rischio sono i paesi maggiormente coinvolti nelle attività di lavorazione della carne, e quindi in particolare l’Italia.
Se infatti da un lato abbiamo una forte crescita, di circa il 42%, dell’export a favore degli allevatori, dall’altra si può assistere alla messa in ginocchio di tutte le attività di lavorazione della carne , quali: stagionatori, produttori di salumi ed insaccati e prosciuttifici.
Come afferma di nuovo Levoni, la situazione interessa in particolare le lavorazioni in quanto il prezzo totale del prodotto trasformato dipende al 50% (ma in alcuni casi si supera perfino questa percentuale) dal costo della materia prima, che essendo aumentato va decisamente ad influire sul prezzo finale dei prodotti.
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